mercoledì 18 luglio 2012

Fini, la rivolta dei colonnelli... (2010)


All'indomani dell'ennesimo trionfo elettorale berlusconiano, stavolta nelle elezioni amministrative di medio termine, la destra, nuovamente trionfante, è sembrata però frantumarsi a causa dei ripensamenti del co-fondatore del PDL, Gianfranco Fini, stufo di contare come il due di briscola nel mazzo del Cavaliere di Denari. Sospinto nel Partito delle Libertà dalle trame politico-populistiche del premier, più che da una volontà personale di cancellare AN, vezzeggiato con lo scranno di Presidente della Camera e lì lasciato a fare bella mostra di sé medesimo, il Colonnello Gianfranco ha visto sbiadire il suo peso politico mese dopo mese tra uno strappo della Lega ed una boutade del Presidente del Consiglio. Non si pensi, infatti, che le perplessità finiane di quest'oggi siano dovute ad una sempre maggiore impresentabilità del potere politico del leader della destra, sempre affannato a delegittimare la magistratura e le altre istituzioni della Repubblica pur di salvarsi dall'assedio delle leggi e di uno stato di diritto sempre più lontano da venire. C'è poca differenza fra il Lodo Alfano oppure il Legittimo Impedimento ed il precedente Lodo Schifani, c'è persino un miglioramento (se possibile) tra l'atteggiamento di Bossi che si rifiuta oggi di partecipare alle celebrazioni per l'unità d'Italia ed il ministro Castelli che anni fa cantava fuori dal Parlamento "chi non salta Italiano è". Non sono certamente valutazioni di interesse nazionale oppure i tormenti di uno statista che vede il proprio paese in mano ad una cricca di raffazzonati plutocrati e populisti a muovere la coscienza del Fini ribelle, ma paure molto più terrene e certamente meno nobili. Proprio il fatto che tali "mal di pancia" siano sorti ancora più urgenti all'indomani del voto regionale potrebbe servire ad individuarne gli aspetti principali. In primo luogo la crescita della Lega e dell'importanza politica degli uomini di Bossi di fronte agli ex di AN.
Il partito del Nord, certamente lungimirante nel rimanere distinto da quello del predellino, ha avuto in questi anni il tempo di radicalizzarsi sul territorio attraverso delle discrete amministrazioni locali. Pur cavalcando invece nella politica nazionale da quindici anni a questa parte sempre il tema trito e ritrito del Federalismo-Secessionista, vince grazie alla presenza capillare nel paese reale. Poco importa ai suoi sostenitori che spari a zero contro le istituzioni, che denigri l'unità d'Italia, l'Inno di Mameli oppure il tricolore. Anzi, c'è chi nel profondo ed operoso Nord non ha alcun problema ad insultare Roma Ladrona (pur non disdegnando poi, come tanti altri da secoli a questa parte, di pasteggiare alla greppia capitolina) ed il Sud dissanguatore. In questo modo la Lega piace e guai a chi cambia se l'incanto funziona. Proprio questo rinnovato potere territoriale ed elettorale è stato un campanello di allarme per lo sbiadito Fini che ha visto le proprie camicie nere surclassate dal verde leghista. Ciò lo ha spinto a cercare visibilità, ad entrare in polemica, a intonare nuovamente canti di battaglia dopo essersi abituato al tintinnio del campanello della Camera. In secondo luogo, come si è detto, il decremento quasi totale di importanza della figura dell'ex leader di AN a dispetto di quella del sempreverde Silvio Berlusconi che continua ad essere unico ed indiscusso arbitro delle sorti del centrodestra. Probabilmente, fondendo il proprio partito con quello di Forza Italia, Fini aveva sperato di poter erodere, almeno in parte, la leadership del Re a proprio vantaggio, interpretando un ruolo moderato ed istituzionale che fungesse da contrappunto a quello decadente e becero del suo alter-ego. E' accaduto esattamente il contrario, come dimostrato dal voltafaccia di alcuni fedelissimi dello stesso Fini che hanno preferito rimanere in silenzio al desco del Padrone più che seguire il proprio vecchio Capitano. Intendiamoci: non si trattava nemmeno di seguirlo sul terreno di un'aperta rivolta, ma almeno su quello di una critica costruttiva, ma in pochi ne hanno avuto la voglia... Tutto ciò a dimostrazione che berlusconismo ha fatto il suo corso... La maggioranza del popolo italiano ed i suoi rappresentanti politici sono ormai convinti del ruolo salvifico del Leader senza nemmeno il bisogno di vedere più Miracoli. Come accade, tanto per fare un paragone più apertamente fideistico, con la Sacra Sindone oppure con le stimmate di Padre Pio: pur di fronte a numerose prove contrarie e gravi dubbi di autenticità le file dei fedeli genuflessi in loro cospetto aumentano senza posa. "Beati quelli che senza aver visto crederanno..." Ricordava non senza una certa ironia Gesù Cristo nel Vangelo di Giovanni: il Nazareno evidentemente aveva capito i propri fratelli ed il bisogno di fede presente in ogni epoca ed in ogni uomo, un bisogno potente e profondo, a volte religioso altre volte più laico, ma sempre pronto a fare capolino soprattutto nei momenti di crisi e di incertezze. Ormai le prove del fallimento di quindici anni di strapotere berlusconiano sono di fronte agli occhi di tutti, ma nessuno dei "fedeli" ci fa più caso, perchè di fronte ad esse continua ad imporsi l'ansia salvifica da basso impero che crede ancora nell'Uomo Forte, capace di risolvere i problemi di tutti con un colpo di bacchetta magica vergato sull'orlo dell'abisso. In barba a chi crede che il Deus ex Machina sia un artificio teatrale ormai scontato. Di fronte all'incanto di una tale liturgia i distinguo finiani stonano come un accesso di tosse durante una Messa da Requiem, la volontà di un rinnovamento (pro domo sua, s'intende...) appare come le martellate rivolte dal folle Laszlo Toth quasi quarant'anni or sono alla perfezione marmorea della Pietà di Michelangelo. Perchè turbare l'elefantiaco meccano del PDL con delle aride correnti? Perchè chiedere il rinnovamento quando il Popolo Sovrano fa ancora le fusa al vecchio leader? Di fronte a questa realtà si è scontrato in questi giorni il Presidente della Camera rimasto con un pugno di uomini in mano e sempre più piccolo sullo sfondo politico dell'Italia di Berlusconi. Solo in Parlamento, ma anche scaricato anche da alcuni elettori delusi che, pur non riconoscendosi nell'alfiere di Arcore, grazie alla fusione fredda dei due partiti del centro destra, non ha avuto di fatto alcuna alternativa di voto. Una parabola, quella di Fini, per certi versi uguale e contraria a quella del suo collega Massimo D'Alema. Di certo l'ex segretario dei DS ha segato per tanti anni con una maggiore alacrità e cinismo il ramo dell'albero sul quale lui ed i suoi stavano appollaiati. Tramando apertamente alle spalle dei vari Prodi, Veltroni e Franceschini, il buon Massimo ha fatto a pezzi la sinistra ed il PD, contribuendo ad arenarlo nelle secche degli intrighi di palazzo e degli inciuci da Prima Repubblica, con la segreta (e nemmeno tanto) convinzione di essere l'unico davvero degno di guidare un paese stolto ed ignorante. Il Colonnello Gianfranco ha invece scelto la via dell'attesa, sperando che l'anagrafe e l'impresentabilità del proprio compare giocassero a proprio favore. Così non è stato e, di fronte all'annullamento politico degli ultimi tempi, egli ha reagito alla vecchia maniera, provando ad alzare il livello dello scontro, provando a fare la conta dei propri, provando a riacquistare un po' di visibilità insomma. Per adesso la missione è riuscita in maniera molto misera... Tanti veleni, visibilità poca ed amici pochissimi. Unica consolazione un rinnovato affetto da parte delle opposizioni. Persino una mezza speranza, da parte dello spaesato popolo della sinistra, che egli possa salvare l'Italia da Berlusconi. Un popolo di sinistra tanto deluso dai propri leader, antipatici, immobili e macchinosi, che è disposto persino ad aggrapparsi alle gonne di un ex fascista pur di trovare qualcuno in grado di fare qualcosa. Speranze vane di certo, perchè alla fine la realpolitik che ha guidato la destra in questi ultimi 15 anni prevarrà ancora una volta nel rinnovato sodalizio della permanenza al potere senza se e senza ma. Tutt'al più ci si potrà aspettare la rinascita di Forza Italia ed AN dalle ceneri di un PDL poco amato da tutti, ma in questo caso saranno le considerazioni e le valutazioni dei sondaggi a dettare la tabella di marcia. Se converrà continuare uniti o meno a "fini" elettorali (gli unici che contano nella scala di valori di Berlusconi) si vedrà, ma per carità: il Fini statista e coscienza della destra è morto e sepolto da tempo.

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