L’Italia ha scelto il suo nuovo ed indiscusso leader. Dopo più di
sessant’anni dalla fine del ventennio fascista il nostro paese ha
ritrovato quell’uomo forte che tanto cercava e che si è guardata bene
dal lasciarsi sfuggire di nuovo. Nel voto di qualche giorno fa l’Italia
si è riscoperta incantata, per l’ennesima volta, dalle seduzioni di un
populismo di destra tanto forte e viscerale da risultare irresistibile.
Per 40 anni la vecchia e vituperata DC, con l’obiettivo dichiarato di
proteggere lo stivale dal Comunismo, ha dimostrato di averci protetto,
in qualche modo, anche da un rigurgito filo-destrista che è riesploso in
tutto il suo clamore con la discesa in campo del Cavaliere. Non è certo
nostra intenzione rimpiangere davvero la Prima Repubblica, ma sembra
ormai un dato di fatto che, dietro alle pastoie bizantine e malavitose
del vecchio establishment democristiano, si nascondesse l’anima nera di
tanti italiani ancora nostalgici del Duce. Quando la gerontocrazia dei
padri fondatori della nostra giovane repubblica è venuta meno,
affondando sotto un mare di corruzione e collusioni mafiose che loro
stessi avevano contribuito a erigere a sistema, Berlusconi ha colto la
palla al balzo ed è disceso in campo. L’uomo di Arcore ha resuscitato i
post fascisti di Fini, si è alleato con Bossi ed i suoi “pretoriani” e
si è consacrato a nuovo uomo forte e salvatore del popolo oppresso.
Con
l’obiettivo di proteggere se stesso ed i propri macroscopici interessi
ha creato intorno a sé una macchina del consenso che ha
dell’incredibile. Ha resistito all’ignoranza politica sua e degli
alleati, alle accuse di una magistratura incredula di rivedere, così
presto, tanto spregio delle leggi vincere e convincere, agli avversari
che si sono fatti in quattro per farlo apparire come il demonio in
persona. Dopo averlo resuscitato ha imbavagliato ed avvilito il leader
di AN a ruolo di eterno delfino. Forte del popolino che credeva nelle
sue promesse ha guidato il paese, ha perso, ha ri-vinto, ha ri-perso ed è
tornato oggi, per la terza volta uguale a se stesso, a stravincere. A
chi lo considerava un Napoleone avviato alla definitiva Waterloo ha
risposto con un trionfo senza se e senza ma, superando i”in vitro” anche
l’epopea del generale francese tornando, per la terza volta,
sull’altare di manzoniana memoria. Il tutto nonostante i suoi toni da
“maccartismo perenne”, il suo conflitto di interessi tanto perfetto da
risultare invincibile. Non è bastata a screditarlo una campagna
elettorale impostata sulla rincorsa del più giovane ed innovativo
avversario, i settanta anni suonati, la fuga di qualche ex alleato,
l’apologia di mafiosi morti in carcere, Lui ha vinto e convinto ancora
una volta. Ha convinto un popolo stanco di tanti dibattiti, stanco della
democrazia e del rispetto delle leggi, che cerca solo un leader che,
pur togliendogli la libertà, lo faccia sognare ancora una volta. Un uomo
forte che gli dia l’illusione di pagare un po’ meno tasse e lo
inorgoglisca nell’immaginifica auto-rappresentazione dell’invitto genio
italico castigamatti.
Queste elezioni dal risultato bulgaro hanno anche
segnato la sconfitta inequivocabile del nuovo che, invece di avanzare, è
“avanzato”. Walter Veltroni, l’uomo chiamato almeno a dimostrare di
poter pareggiare, se non proprio vincere, contro l’Unto del Signore, non
è riuscito nel suo intento. “L’effetto Walter” non c’è stato. Il
Partito Democratico, vera novità della campagna elettorale, si è fermato
alla somma dei voti presi da DS e Margherita, salvato, almeno un po’,
dal piccolo exploit di Di Pietro. Il pareggio vagheggiato dall’ex
sindaco della capitale si è fermato troppo indietro per poter nemmeno
impensierire l’avversario. Non è bastata al leader del PD la scelta
coraggiosa di correre da soli, di liberarsi da quei comunisti fuori
dalla storia che avevano azzoppato il governo Prodi, di cambiare stile
dialettico, evitando persino di nominare l’avversario (segno di
indifferenza vecchio il vecchio). Veltroni ha abbassato i toni della
contesa a livelli accettabili e ha proposto, per la prima volta in
assoluto in Italia, un programma ed un partito di sinistra moderata con
vocazione davvero maggioritaria e davvero governativa. I delusi di Prodi
non lo hanno seguito, hanno preferito non votare, oppure gettarsi per
l’ennesima volta fra le braccia del super-uomo, unico, nella storia
repubblicana, ad aver assicurato un governo di 5 anni al paese.
Certamente anche Veltroni avrà sbagliato qualcosa, avrebbe potuto
presentare un programma ancor più coraggiosamente innovativo. Scaricare
De Mita e candidare qualche lavoratore precario, oppure qualche operaio è
stato un bel gesto, ma probabilmente l’elettorato lo ha interpretato
solo come un’operazione di facciata. Il “ma-anchismo” epiteto un po’
canzonatorio, ma un po’ vero, affibbiatogli dagli avversari e da qualche
deluso di sinistra non lo avrà aiutato ad intercettare il voto dei
massimalisti, ma gli ha regalato i moderati. Vetroni è riuscito, in
sostanza, a far innamorare di sé quelli che già lo apprezzavano, ma non a
convincere gli indecisi e su questo servirà riflettere. Il progetto del
PD, coraggioso, ma ancora troppo acerbo per essere davvero convincente,
si è fermato al 33%. Da qui si può ripartire per un’opposizione non
pregiudiziale, ma fatta di contenuti e proposte, per ricostruire un
consenso più ampio e dare nuova fiducia all’elettorato di sinistra, ma
anche a quello di centro e di destra che potrebbero, nuovamente rimanere
scottati dallo strapotere del Demiurgo.
In questa tornata elettorale si è assistito anche al
tracollo di forze storiche della politica italiana Socialisti e
Comunisti. Uniti sotto il cartello politico della Sinistra Arcobaleno e
sotto la guida di un grande vecchio come Bertinotti, tutti si
aspettavano che intercettassero il voto di protesta dei “duri e puri” e
che sfiorassero quel 10% che la somma di tutti i partiti della piccola
coalizione faceva sperare. Non hanno ottenuto nemmeno un terzo di questi
voti scomparendo dal panorama parlamentare italiano. I comunisti
radical shic di Diliberto, il peggiore partito ambientalista d’Europa
pronto a dire sempre no, ma mai a proporre soluzioni, l’impalpabile
figura del Socialista Boselli (capace perfino di far rimpiangere un
leader corrotto, ma carismatico come Craxi) sono stati cancellati da un
voto che li ha ignorati. Tutti loro insieme alla vecchia nomenklatura di
Rifondazione Comunista (vera anima dell’Arcobaleno), stretti su un’arca
che credevano inaffondabile per superare il diluvio del tracollo
prodiano, si sono arenati nelle secche da loro stessi accuratamente
create. A causa della loro scelleratezza è loro, e non di Veltroni, la
responsabilità di aver lasciato solo il PD a rappresentare un barlume di
sinistra in un parlamento reso livido dal trionfo delle destre. E’ loro
e non di Veltroni la responsabilità di aver cancellato 50 anni di
storia del Partito Comunista più grande ed importante dell’Europa
occidentale. Mentre a sinistra della sinistra, i “duri e puri” ancora
più ridicoli ed anacronistici creavano altri tre partiti comunisti,
l’uno in polemica con l’altro (Alternativa Comunista, Sinistra Critica,
Partito Comunista dei Lavoratori) e tutti i tre in polemica con il resto
del mondo civile, nessuno rammentava la frase di Enzo Biagi: La
democrazia è fragile, a piantarci sopra troppe bandiere si sgretola...
Lo stesso si potrebbe dire della sinistra. A forza di tirarla sempre più
in basso, nella dialettica del tanto-peggio tanto-meglio, del “o tutto o
niente” è proprio niente che, alla fine della fiera, hanno ottenuto.
Passato il millennio e, con esso, il secolo breve, anche un’ideologia
potente e rispettabile come il Comunismo ha mostrato a tutti la sua
immagine più fiacca e deforme. Un’ideologia trascinata stancamente da
leader ormai auto-referenziali, che parlano di ideologie ma guardano
solo al portafogli, che chiedono il supporto delle masse operaie, ma
che, con il loro sconsiderato comportamento anti-governista, ne fanno
sostanzialmente gli interessi contrari. Essi non si sono accorti, nella
vanagloria della loro dialettica marxista-leninista, di marciare da soli
verso un’ingloriosa Caporetto, mentre il popolo della rivoluzione era
rimasto a casa a piangere sul latte versato.
In mezzo a tutto questo l’UDC del divorziato Casini
“passa la nottata”, raggranellando le briciole di qualche nostalgico
della DC, e spedisce nel Senato della Repubblica un condannato per mafia
come Totò Cuffaro. C’è poco da stupirsi. In piena campagna elettorale
anche il Cavaliere ha definito Mangano un eroe. Vittorio Mangano, un
uomo morto in carcere scontando due ergastoli per reati di mafia,
inchiodato nelle patrie galere da veri eroi della Repubblica come
Falcone e Borsellino, viene in questo modo, per l’ennesima volta,
vendicato dai suoi compatrioti. Essi si beano di poter ritrovare tra gli
scranni della camera più alta e venerabile del paese gente come loro,
che farà i loro interessi, proteggendo gli amici e screditando i nemici.
Anche Raffaele Lombardo, l’erede di Cuffaro, trionfa in Sicila con il
suo Movimento Per le Autonomie. Lui che dice di voler prendere i mafiosi
a calci nel sedere pur di poter fare il ponte sullo stretto, sa
benissimo di essere stato votato proprio da loro ed è per loro che
lavorerà. Mentre l’immondizia soffoca il sud Italia e la Sicilia non
riesce a ripudiare l’anti-stato mafioso che la tiene in pugno, l’unico
problema di questi personaggi sarà quello di spendere 15 miliardi di
euro per costruire un’opera epocale, che sarà tale solo per il suo
gigantesco fallimento.
Il voto di protesta, il voto di rabbia, il voto del
“si salvi chi può”, è andato invece alla Lega Nord. Gli operai
dell’operoso nord, i lombardi convinti che il male del mondo si
concentri nell’immigrazione, i nordisti benestanti che vedono il sud
come una palla al piede e Roma come la Vecchia Meretrice di Babilonia,
hanno dato fiducia ad un partito di chiaro stampo neo-fascista. Le verdi
camicie del Po differiscono solo nel colore da quelle di mussoliniana
memoria. L’exploit di Bossi e compagni, amara novità di questo voto,
dimostra che le vedove inconsolabili dell’Impero Austro-ungarico ancora
rimpiangono lo storico incontro a Teano delle due Italie. Essi non
vedono l’ora di potersi coltivare il proprio orticello senza dover
pensare a chi, grazie anche al loro sfruttamento, non riesce a stare al
passo con i tempi. Se il capitale “cispadano” e la malavita nordica
continuano a fare allegramente affari e speculazioni a discapito del
Sud, essi preferiscono che i danni di tutto ciò ricadano su quelli che
sono già “cornuti” perchè possano anche essere anche giustamente
“mazziati” senza poter venire a chiedere nemmeno l’elemosina ai ricchi
padroni. E’ chiaro a tutti che, senza l’alleanza con il Tribuno di
Arcore, la Lega non avrebbe ottenuto il successo che ha raccolto.
Purtroppo, però, è vero anche il contrario. Chi votava Berlusconi sapeva
di mandare al governo anche la Lega e viceversa. Questo patto d’acciaio
è la vera cartina tornasole di questo voto. La destra del PDL e
l’estrema destra della Lega (molto più presentabile di quella “da
operetta” della Santanchè) si sono strette l’una con l’altra per
ascendere al soglio del governo del paese. L’una continuerà a perseguire
i suoi interessi privati spacciandoli per pubblici, il liberismo
selvaggio ed incontrollato, il capitalismo feroce che disprezza le leggi
e le istituzioni, il debito pubblico galoppante e il precariato eretto a
sistema e gli altri la lasceranno fare chiedendo in cambio che il Nord
possa continuare a fare il proprio comodo senza dover pagare nemmeno i
conti dei danni fatti in giro per il paese. Dal tempo dei Galli di
Brenno e di Attila, ai Lanzichenecchi di Carlo V, dalle discese in
Italia di Re ed Imperatori di mezza Europa, dopo l’unità d’Italia non si
era più vista un’invasione barbarica proveniente dal nord di tali
proporzioni. Preghiamo che questo Tsunami di antipolitica e di ferocia
nordista non distrugga quanto di buono il nostro paese ha racimolato in
un secolo e passa di storia.
Gianluca Stisi
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