mercoledì 18 luglio 2012

Le invasioni barbariche 2008

L’Italia ha scelto il suo nuovo ed indiscusso leader. Dopo più di sessant’anni dalla fine del ventennio fascista il nostro paese ha ritrovato quell’uomo forte che tanto cercava e che si è guardata bene dal lasciarsi sfuggire di nuovo. Nel voto di qualche giorno fa l’Italia si è riscoperta incantata, per l’ennesima volta, dalle seduzioni di un populismo di destra tanto forte e viscerale da risultare irresistibile. Per 40 anni la vecchia e vituperata DC, con l’obiettivo dichiarato di proteggere lo stivale dal Comunismo, ha dimostrato di averci protetto, in qualche modo, anche da un rigurgito filo-destrista che è riesploso in tutto il suo clamore con la discesa in campo del Cavaliere. Non è certo nostra intenzione rimpiangere davvero la Prima Repubblica, ma sembra ormai un dato di fatto che, dietro alle pastoie bizantine e malavitose del vecchio establishment democristiano, si nascondesse l’anima nera di tanti italiani ancora nostalgici del Duce. Quando la gerontocrazia dei padri fondatori della nostra giovane repubblica è venuta meno, affondando sotto un mare di corruzione e collusioni mafiose che loro stessi avevano contribuito a erigere a sistema, Berlusconi ha colto la palla al balzo ed è disceso in campo. L’uomo di Arcore ha resuscitato i post fascisti di Fini, si è alleato con Bossi ed i suoi “pretoriani” e si è consacrato a nuovo uomo forte e salvatore del popolo oppresso.
Con l’obiettivo di proteggere se stesso ed i propri macroscopici interessi ha creato intorno a sé una macchina del consenso che ha dell’incredibile. Ha resistito all’ignoranza politica sua e degli alleati, alle accuse di una magistratura incredula di rivedere, così presto, tanto spregio delle leggi vincere e convincere, agli avversari che si sono fatti in quattro per farlo apparire come il demonio in persona. Dopo averlo resuscitato ha imbavagliato ed avvilito il leader di AN a ruolo di eterno delfino. Forte del popolino che credeva nelle sue promesse ha guidato il paese, ha perso, ha ri-vinto, ha ri-perso ed è tornato oggi, per la terza volta uguale a se stesso, a stravincere. A chi lo considerava un Napoleone avviato alla definitiva Waterloo ha risposto con un trionfo senza se e senza ma, superando i”in vitro” anche l’epopea del generale francese tornando, per la terza volta, sull’altare di manzoniana memoria. Il tutto nonostante i suoi toni da “maccartismo perenne”, il suo conflitto di interessi tanto perfetto da risultare invincibile. Non è bastata a screditarlo una campagna elettorale impostata sulla rincorsa del più giovane ed innovativo avversario, i settanta anni suonati, la fuga di qualche ex alleato, l’apologia di mafiosi morti in carcere, Lui ha vinto e convinto ancora una volta. Ha convinto un popolo stanco di tanti dibattiti, stanco della democrazia e del rispetto delle leggi, che cerca solo un leader che, pur togliendogli la libertà, lo faccia sognare ancora una volta. Un uomo forte che gli dia l’illusione di pagare un po’ meno tasse e lo inorgoglisca nell’immaginifica auto-rappresentazione dell’invitto genio italico castigamatti.
Queste elezioni dal risultato bulgaro hanno anche segnato la sconfitta inequivocabile del nuovo che, invece di avanzare, è “avanzato”. Walter Veltroni, l’uomo chiamato almeno a dimostrare di poter pareggiare, se non proprio vincere, contro l’Unto del Signore, non è riuscito nel suo intento. “L’effetto Walter” non c’è stato. Il Partito Democratico, vera novità della campagna elettorale, si è fermato alla somma dei voti presi da DS e Margherita, salvato, almeno un po’, dal piccolo exploit di Di Pietro. Il pareggio vagheggiato dall’ex sindaco della capitale si è fermato troppo indietro per poter nemmeno impensierire l’avversario. Non è bastata al leader del PD la scelta coraggiosa di correre da soli, di liberarsi da quei comunisti fuori dalla storia che avevano azzoppato il governo Prodi, di cambiare stile dialettico, evitando persino di nominare l’avversario (segno di indifferenza vecchio il vecchio). Veltroni ha abbassato i toni della contesa a livelli accettabili e ha proposto, per la prima volta in assoluto in Italia, un programma ed un partito di sinistra moderata con vocazione davvero maggioritaria e davvero governativa. I delusi di Prodi non lo hanno seguito, hanno preferito non votare, oppure gettarsi per l’ennesima volta fra le braccia del super-uomo, unico, nella storia repubblicana, ad aver assicurato un governo di 5 anni al paese. Certamente anche Veltroni avrà sbagliato qualcosa, avrebbe potuto presentare un programma ancor più coraggiosamente innovativo. Scaricare De Mita e candidare qualche lavoratore precario, oppure qualche operaio è stato un bel gesto, ma probabilmente l’elettorato lo ha interpretato solo come un’operazione di facciata. Il “ma-anchismo” epiteto un po’ canzonatorio, ma un po’ vero, affibbiatogli dagli avversari e da qualche deluso di sinistra non lo avrà aiutato ad intercettare il voto dei massimalisti, ma gli ha regalato i moderati. Vetroni è riuscito, in sostanza, a far innamorare di sé quelli che già lo apprezzavano, ma non a convincere gli indecisi e su questo servirà riflettere. Il progetto del PD, coraggioso, ma ancora troppo acerbo per essere davvero convincente, si è fermato al 33%. Da qui si può ripartire per un’opposizione non pregiudiziale, ma fatta di contenuti e proposte, per ricostruire un consenso più ampio e dare nuova fiducia all’elettorato di sinistra, ma anche a quello di centro e di destra che potrebbero, nuovamente rimanere scottati dallo strapotere del Demiurgo.
In questa tornata elettorale si è assistito anche al tracollo di forze storiche della politica italiana Socialisti e Comunisti. Uniti sotto il cartello politico della Sinistra Arcobaleno e sotto la guida di un grande vecchio come Bertinotti, tutti si aspettavano che intercettassero il voto di protesta dei “duri e puri” e che sfiorassero quel 10% che la somma di tutti i partiti della piccola coalizione faceva sperare. Non hanno ottenuto nemmeno un terzo di questi voti scomparendo dal panorama parlamentare italiano. I comunisti radical shic di Diliberto, il peggiore partito ambientalista d’Europa pronto a dire sempre no, ma mai a proporre soluzioni, l’impalpabile figura del Socialista Boselli (capace perfino di far rimpiangere un leader corrotto, ma carismatico come Craxi) sono stati cancellati da un voto che li ha ignorati. Tutti loro insieme alla vecchia nomenklatura di Rifondazione Comunista (vera anima dell’Arcobaleno), stretti su un’arca che credevano inaffondabile per superare il diluvio del tracollo prodiano, si sono arenati nelle secche da loro stessi accuratamente create. A causa della loro scelleratezza è loro, e non di Veltroni, la responsabilità di aver lasciato solo il PD a rappresentare un barlume di sinistra in un parlamento reso livido dal trionfo delle destre. E’ loro e non di Veltroni la responsabilità di aver cancellato 50 anni di storia del Partito Comunista più grande ed importante dell’Europa occidentale. Mentre a sinistra della sinistra, i “duri e puri” ancora più ridicoli ed anacronistici creavano altri tre partiti comunisti, l’uno in polemica con l’altro (Alternativa Comunista, Sinistra Critica, Partito Comunista dei Lavoratori) e tutti i tre in polemica con il resto del mondo civile, nessuno rammentava la frase di Enzo Biagi: La democrazia è fragile, a piantarci sopra troppe bandiere si sgretola... Lo stesso si potrebbe dire della sinistra. A forza di tirarla sempre più in basso, nella dialettica del tanto-peggio tanto-meglio, del “o tutto o niente” è proprio niente che, alla fine della fiera, hanno ottenuto. Passato il millennio e, con esso, il secolo breve, anche un’ideologia potente e rispettabile come il Comunismo ha mostrato a tutti la sua immagine più fiacca e deforme. Un’ideologia trascinata stancamente da leader ormai auto-referenziali, che parlano di ideologie ma guardano solo al portafogli, che chiedono il supporto delle masse operaie, ma che, con il loro sconsiderato comportamento anti-governista, ne fanno sostanzialmente gli interessi contrari. Essi non si sono accorti, nella vanagloria della loro dialettica marxista-leninista, di marciare da soli verso un’ingloriosa Caporetto, mentre il popolo della rivoluzione era rimasto a casa a piangere sul latte versato.
In mezzo a tutto questo l’UDC del divorziato Casini “passa la nottata”, raggranellando le briciole di qualche nostalgico della DC, e spedisce nel Senato della Repubblica un condannato per mafia come Totò Cuffaro. C’è poco da stupirsi. In piena campagna elettorale anche il Cavaliere ha definito Mangano un eroe. Vittorio Mangano, un uomo morto in carcere scontando due ergastoli per reati di mafia, inchiodato nelle patrie galere da veri eroi della Repubblica come Falcone e Borsellino, viene in questo modo, per l’ennesima volta, vendicato dai suoi compatrioti. Essi si beano di poter ritrovare tra gli scranni della camera più alta e venerabile del paese gente come loro, che farà i loro interessi, proteggendo gli amici e screditando i nemici. Anche Raffaele Lombardo, l’erede di Cuffaro, trionfa in Sicila con il suo Movimento Per le Autonomie. Lui che dice di voler prendere i mafiosi a calci nel sedere pur di poter fare il ponte sullo stretto, sa benissimo di essere stato votato proprio da loro ed è per loro che lavorerà. Mentre l’immondizia soffoca il sud Italia e la Sicilia non riesce a ripudiare l’anti-stato mafioso che la tiene in pugno, l’unico problema di questi personaggi sarà quello di spendere 15 miliardi di euro per costruire un’opera epocale, che sarà tale solo per il suo gigantesco fallimento.
Il voto di protesta, il voto di rabbia, il voto del “si salvi chi può”, è andato invece alla Lega Nord. Gli operai dell’operoso nord, i lombardi convinti che il male del mondo si concentri nell’immigrazione, i nordisti benestanti che vedono il sud come una palla al piede e Roma come la Vecchia Meretrice di Babilonia, hanno dato fiducia ad un partito di chiaro stampo neo-fascista. Le verdi camicie del Po differiscono solo nel colore da quelle di mussoliniana memoria. L’exploit di Bossi e compagni, amara novità di questo voto, dimostra che le vedove inconsolabili dell’Impero Austro-ungarico ancora rimpiangono lo storico incontro a Teano delle due Italie. Essi non vedono l’ora di potersi coltivare il proprio orticello senza dover pensare a chi, grazie anche al loro sfruttamento, non riesce a stare al passo con i tempi. Se il capitale “cispadano” e la malavita nordica continuano a fare allegramente affari e speculazioni a discapito del Sud, essi preferiscono che i danni di tutto ciò ricadano su quelli che sono già “cornuti” perchè possano anche essere anche giustamente “mazziati” senza poter venire a chiedere nemmeno l’elemosina ai ricchi padroni. E’ chiaro a tutti che, senza l’alleanza con il Tribuno di Arcore, la Lega non avrebbe ottenuto il successo che ha raccolto. Purtroppo, però, è vero anche il contrario. Chi votava Berlusconi sapeva di mandare al governo anche la Lega e viceversa. Questo patto d’acciaio è la vera cartina tornasole di questo voto. La destra del PDL e l’estrema destra della Lega (molto più presentabile di quella “da operetta” della Santanchè) si sono strette l’una con l’altra per ascendere al soglio del governo del paese. L’una continuerà a perseguire i suoi interessi privati spacciandoli per pubblici, il liberismo selvaggio ed incontrollato, il capitalismo feroce che disprezza le leggi e le istituzioni, il debito pubblico galoppante e il precariato eretto a sistema e gli altri la lasceranno fare chiedendo in cambio che il Nord possa continuare a fare il proprio comodo senza dover pagare nemmeno i conti dei danni fatti in giro per il paese. Dal tempo dei Galli di Brenno e di Attila, ai Lanzichenecchi di Carlo V, dalle discese in Italia di Re ed Imperatori di mezza Europa, dopo l’unità d’Italia non si era più vista un’invasione barbarica proveniente dal nord di tali proporzioni. Preghiamo che questo Tsunami di antipolitica e di ferocia nordista non distrugga quanto di buono il nostro paese ha racimolato in un secolo e passa di storia.
Gianluca Stisi

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