mercoledì 18 luglio 2012

Giustizia è fatta? (2009)


Giustizia è fatta? Si potrebbe rispondere che è ai proverbiali "posteri" che spetti l'ardua sentenza, ma, in questo particolare periodo storico del nostro paese, forse questa notizia merita una considerazione in più. Mercoledì 7 Ottobre 2009 la Corte Costituzionale, una delle più alte incarnazioni del potere giuridico in Italia, ha deciso che il cosiddetto Lodo Alfano ("Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato": legge 124/2008) sia da ritenersi contrario ai principi della Costituzione e, per questo motivo, da respingere. I supremi giudici, che hanno per compito istituzionale di vigilare, fra l'altro, affinché le leggi promulgate dal Parlamento non siano in contrasto con anche uno solo degli articoli della nostra Costituzione, hanno perciò accolto i rilievi mossi dai colleghi milanesi impegnati nei processi Mediaset-diritti tv e caso Mills. Tali procedimenti, come molti sanno, vedono, fra gli altri, come imputato-eccellente il premier Silvio Berlusconi. Sin da quando l'immunità parlamentare fu accantonata con referendum popolare, diversi anni or sono, la politica ha cercato a più riprese di far "rientrare dalla finestra" ciò che era stato "cacciato dalla porta". Lodo Maccanico, Lodo Schifani ed oggi il Lodo Alfano. I più maliziosi potrebbero sussurrare che i nostri governanti, ben consci dei loro scheletri nemmeno tanto nascosti dentro l'armadio, non vedano l'ora di essere messi al riparo da qualsiasi accusa giudiziaria grazie ad un escamotage, ai limiti della legalità, come quello dell'immunità parlamentare. Visto e considerato poi che la politica, presso il nostro bel paese, sembra una professione a tempo pieno e soprattutto, per alcuni, indeterminato, chi si fa promotore di queste leggi sembra puntare alla vitalizia immunità da ogni pendenza ai propri danni.
I sostenitori dell'approvazione di queste norme contestano però, in molti casi, un presunto accanimento "ad personam" della magistratura nostrana, utile a modificare gli equilibri politici emersi dai risultati delle elezioni e strumentali a destabilizzare governi ed a rovinare la reputazione e la carriera di eminenti personaggi politici. Eppure, esulando per un poco dagli avvenimenti contingenti e considerando la vicenda con gli occhi della Storia, fin dai tempi del celebre Barone di Montesquieu, la divisione del potere Politico, Giudiziario ed Esecutivo è stata considerata una delle basi più eminenti della moderna democrazia e non, al contrario, una minaccia ad essa. Proprio il reciproco controllo degli uni sugli altri sarebbe, a parere di ogni Costituzione moderna, garante e custode del corretto funzionamento di uno Stato. Impedendo, di fatto, l'azione di controllo di uno dei tre poteri sull'altro si rischierebbe di intaccare questo delicato meccanismo innescando una sperequazione delle forze in campo a favore del cosiddetto "legislatore". In termini generali, infatti, potrebbe essere questo uno degli effetti più deleteri dell'approvazione di una simile linea politica di azione. A queste considerazioni di opportunità generale, contro le quali molti intellettuali e giuristi hanno espresso le loro riserve, si sono unite oggi motivazioni più squisitamente giuridico-costituzionali che hanno spinto la Suprema Corte a giudicare illegittima la suddetta legge. I giudici, infatti, hanno trovato che questa contravvenisse agli articoli 3 e 138 della nostra Costituzione. L'articolo 3, stabilendo l'uguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge, vedrebbe in questo modo intaccata e diminuita la sua generale applicazione, sottraendo ad essa 4 cittadini, per di più investiti di grandi poteri e responsabilità civiche, che diverrebbero di fatto "legibus soluti" ovvero "non soggetti alle leggi". Conseguentemente a questa considerazione i giudici della Suprema Corte Costituzionale hanno stabilito che, per ovviare alla difformità dal principio di cui al suddetto articolo 3, non si possa operare con una normale legge dell'esecutivo, come invece è stato fatto dal ministro della giustizia Alfano. Per far questo si dovrebbe invece procedere ad una modifica del testo costituzionale che stabilisca per prima cosa la non-uguaglianza di ogni cittadino nei confronti della legge e poi un'eventuale divisione fra personaggi evidentemente privilegiati ed altri maggiormente vincolati ad essa. Di qui la violazione anche dell'articolo 138 ricordata dai giudici che stabilisce come le modifiche costituzionali possano essere operate dal Parlamento con strumenti e tempi diversi da quelli di un normale processo legislativo. Accantonando a questo punto i "vizi di costituzionalità" che hanno spinto i giudici a dichiarare "illegittimo" il Lodo Alfano, per concludere si potrebbe solamente riflettere sulle possibili conseguenze, invece, della sua legittimazione. Qualora la Costituzione dovesse ad un certo punto sancire la disuguaglianza, in termini generali o particolari, del proprio popolo di fronte alla legge, questo potrebbe portare a derive anti-democratiche, ma soprattutto anti-storiche, in grado di mettere a rischio quasi sessant'anni di progresso civile italiano. E' storicamente accertato infatti che il governante "legibus solutus" non solamente non è stato più efficiente, ma certamente non è mai stato più "democratico" dei suoi colleghi sottoposti al consueto controllo della legge. Creando una "casta" di cariche privilegiate non si potrebbero, in futuro, determinare con esattezza le ricadute politiche di tale azione, rischiando di innescare un meccanismo di proliferazione di privilegi e di strumenti che consentirebbero al potere politico e legislativo di replicare se stesso a tempo indefinito. Fortunatamente per la nostra società i tempi "dell' Ancien Regime" e dell'assolutismo (persino di quello "illuminato") sono volti al termine da parecchi decenni e molti si augurano che essi non tornino tanto velocemente. In una società in cui caste e corporazioni tendono a proteggere con cieca cupidigia i propri privilegi ed i propri poteri, probabilmente, i giudici della Consulta, sottomettendosi con rispetto "sacerdotale" al testo della Costituzione, non hanno voluto privare il nostro ordinamento di uno dei suoi principi più fondamentali. Se giustizia sia stata fatta sarà solo la Storia a poterlo dire, ma, per oggi, il popolo italiano è stato e sarà: "eguale davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

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